mercoledì, settembre 15, 2004
E’ scoppiato un amore!
Avevo freddo e una semplice maglietta a maniche corte non mi bastava. Così, nella pausa pranzo, sono scesa per andarmi a comprare alla Benetton un maglione di cotone. Tanto ci sono i saldi e non costerà molto. Così infatti è stato, ma questo è successo dopo, è un’altra storia. Ho impugnato il portafogli, ho percorso il salone del partito, ho salutato un paio di persone, ho preso l’ascensore e sono uscita dal palazzo. Per strada non c’era nessuno, solito deserto della pausa pranzo di via di Torre Argentina, dove si sentono le forchette del bar Pavia che sbattono sui piatti, i rumori di fondo della fermata dell’autobus di largo Argentina, qualche faccia conosciuta dei negozi che riaprono o che hanno appena chiuso, rumori di qualche trolley che cerca di scorrere tra i sanpietrini diretta alla casa famiglie dalle suore, nello stesso immobile del partito, ma al primo o al quinto piano. Niente di nuovo. Se non una faccia nuova, tra quelle già conosciute. Un mento lungo, occhi e capelli neri, occhiali in testa, barba sfatta, ma su un viso ancora puerile, quasi a chiazze. Un atteggiamento accaldato, anche se io avevo freddo e la trolley, come fosse un peso insopportabile, con il giacchetto di pelle scamosciato appoggiato sopra, in bilico. Lo guardo da lontano… lo conosco. No, non lo conosco, ma assomiglia a qualcuno. Lo passo, ma mi volto, forse lo conosco. Si volta anche lui. Mi rigiro di nuovo, se si è voltato lo conosco, e mi conosce pure lui… si rivolta anche lui.
Arrivo a destinazione e quasi non mi ricordo perché ero uscita. Entro e compro il maglione, 23 euro. Pago ed esco di fretta, come per vedere se è ancora lì che mi aspetta per capire chi sono. Arrivo davanti al portone del partito guardandomi attorno, nella speranza di re-incrociare quello sguardo. Nulla, ogni speranza è svanita. Entro nel portone, con lo sguardo abbassato. Lo alzo solo per suonare il citofono. Apro il cancello e mi trovo davanti la trolley, scarpe anonime nere, pantaloni di lino, camicia azzurra mezza fuori mezza dentro, il viso sbarbato e gli occhi neri, uno sguardo affaticato. Era lui, aspettava l’ascensore, con una mano appoggiata alla maniglia. Non mi nota neanche, si gira solo quando l’ascensore arriva e deve far entrare la valigia e in quel momento un tuffo al cuore: lo conosco! Luigi mi fa entrare e mi sorride come per salutarmi. “A che piano?” “Terzo” rispondo io “Ah, allora facciamo il viaggio insieme” e non riesco a spiccicare parola. Si passa ripetutamente la mano nei capelli guardandosi allo specchio e con la coda degl’occhi mi guarda con un mezzo sorriso. Non riesco a dire nulla. Vorrei parlargli dei “Cento passi”, de “La meglio gioventù”, vorrei chiedergli se è meglio Maya Sansa o Giovanna Mezzogiorno, e se è vero che ci assomiglio. Tutte domande troppo stupide. Magari potrei approcciare chiedendogli se si iscrive all’associazione Coscioni, e se è a favore di questa legge, ma non c’è tempo e rimango con uno sguardo ebete a fissarlo, fino a quando arriviamo al piano e non sono riuscita a dire nulla. Apre le porte sbagliate dell’ascensore e poi si gira con aria interrogativa. Sorrido “Si esce dall’altra parte” e gli tengo la porta, così può far uscire la trolley. Ci salutiamo e ci separiamo, non andava al partito, ma a un piano più su. Chissà a fare cosa, chissà se sa che lì c’è la sede del Partito radicale, se sa che lì io ci lavoro tutti i giorni o quasi. Sono sicura: è stato amore!
Avevo freddo e una semplice maglietta a maniche corte non mi bastava. Così, nella pausa pranzo, sono scesa per andarmi a comprare alla Benetton un maglione di cotone. Tanto ci sono i saldi e non costerà molto. Così infatti è stato, ma questo è successo dopo, è un’altra storia. Ho impugnato il portafogli, ho percorso il salone del partito, ho salutato un paio di persone, ho preso l’ascensore e sono uscita dal palazzo. Per strada non c’era nessuno, solito deserto della pausa pranzo di via di Torre Argentina, dove si sentono le forchette del bar Pavia che sbattono sui piatti, i rumori di fondo della fermata dell’autobus di largo Argentina, qualche faccia conosciuta dei negozi che riaprono o che hanno appena chiuso, rumori di qualche trolley che cerca di scorrere tra i sanpietrini diretta alla casa famiglie dalle suore, nello stesso immobile del partito, ma al primo o al quinto piano. Niente di nuovo. Se non una faccia nuova, tra quelle già conosciute. Un mento lungo, occhi e capelli neri, occhiali in testa, barba sfatta, ma su un viso ancora puerile, quasi a chiazze. Un atteggiamento accaldato, anche se io avevo freddo e la trolley, come fosse un peso insopportabile, con il giacchetto di pelle scamosciato appoggiato sopra, in bilico. Lo guardo da lontano… lo conosco. No, non lo conosco, ma assomiglia a qualcuno. Lo passo, ma mi volto, forse lo conosco. Si volta anche lui. Mi rigiro di nuovo, se si è voltato lo conosco, e mi conosce pure lui… si rivolta anche lui.
Arrivo a destinazione e quasi non mi ricordo perché ero uscita. Entro e compro il maglione, 23 euro. Pago ed esco di fretta, come per vedere se è ancora lì che mi aspetta per capire chi sono. Arrivo davanti al portone del partito guardandomi attorno, nella speranza di re-incrociare quello sguardo. Nulla, ogni speranza è svanita. Entro nel portone, con lo sguardo abbassato. Lo alzo solo per suonare il citofono. Apro il cancello e mi trovo davanti la trolley, scarpe anonime nere, pantaloni di lino, camicia azzurra mezza fuori mezza dentro, il viso sbarbato e gli occhi neri, uno sguardo affaticato. Era lui, aspettava l’ascensore, con una mano appoggiata alla maniglia. Non mi nota neanche, si gira solo quando l’ascensore arriva e deve far entrare la valigia e in quel momento un tuffo al cuore: lo conosco! Luigi mi fa entrare e mi sorride come per salutarmi. “A che piano?” “Terzo” rispondo io “Ah, allora facciamo il viaggio insieme” e non riesco a spiccicare parola. Si passa ripetutamente la mano nei capelli guardandosi allo specchio e con la coda degl’occhi mi guarda con un mezzo sorriso. Non riesco a dire nulla. Vorrei parlargli dei “Cento passi”, de “La meglio gioventù”, vorrei chiedergli se è meglio Maya Sansa o Giovanna Mezzogiorno, e se è vero che ci assomiglio. Tutte domande troppo stupide. Magari potrei approcciare chiedendogli se si iscrive all’associazione Coscioni, e se è a favore di questa legge, ma non c’è tempo e rimango con uno sguardo ebete a fissarlo, fino a quando arriviamo al piano e non sono riuscita a dire nulla. Apre le porte sbagliate dell’ascensore e poi si gira con aria interrogativa. Sorrido “Si esce dall’altra parte” e gli tengo la porta, così può far uscire la trolley. Ci salutiamo e ci separiamo, non andava al partito, ma a un piano più su. Chissà a fare cosa, chissà se sa che lì c’è la sede del Partito radicale, se sa che lì io ci lavoro tutti i giorni o quasi. Sono sicura: è stato amore!
Comments:
Posta un commento